MA TU, CHI SEI VERAMENTE? La scoperta del proprio sé

La mutevolezza del sé

A un certo punto ce lo siamo chiesto tutti/e, sopratutto durante le fasi di cambiamento interiore:

“Ma io chi sono veramente? Cosa mi rende me stesso/a?”

In questo articolo vi guiderò alla risposta a questo interrogativo facendomi accompagnare da uno dei romanzi più strani ed enigmatici che siano mai stati pubblicati: “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”. Infatti, una delle questioni centrali di quest’opera riguarda proprio la scoperta del proprio sé e il confronto con la sua mutevolezza. La questione della natura del sé è oggetto di indagine di molti campi del sapere e si presta quindi a moltissime riflessioni. Oggi vorrei proporvi una prospettiva di tipo psicologico proprio a partire da uno dei più bizzarri monologhi interiori di Alice.

Quante stranezze oggi! Pensare che ieri tutto era come al solito. Fossi cambiata io durante la notte? Fammi pensare: ero la stessa stamattina quando mi sono alzata? Quasi quasi mi sembra di essermi sentita un po’ diversa. Ma se non sono la stessa, la domanda è: Chi mai sarò? Ah, eccolo, il grande punto interrogativo! »

E si mise a passare mentalmente in rassegna tutte le bambine della sua età che conosceva, per vedere se per caso si fosse mutata in una di loro. « Di certo non sono Ada », disse, « lei è tutta boccoli, e io non ne ho affatto; e di certo non sono Mabel, perché io so un sacco di cose, e lei ne sa tanto poche! E poi, lei è lei, e io sono io, e… povera me, che rompicapo! 

Il sé dal punto di vista della psicologia

In questo passaggio Alice si scontra con l’ambiguità della domanda chi sono? E lo fa nel modo che le appare più logico, ovvero interrogandosi su che cosa la differenzia dagli altri. Che è alla fine ciò che facciamo un po’ tutti: cerchiamo di conoscerci attraverso il confronto con gli altri. Alice si accorge però che una volta appurata la sua differenza dalle altre bambine è di nuovo punto a capo. In altre parole, le sue caratteristiche (l’aspetto fisico e le conoscenze possedute) non sono sufficienti a dare una risposta al suo interrogativo, le possono solo dire che lei è lei.

Il sé come contenuto

Ciò che sta facendo Alice è definirsi attraverso il sé come contenuto, o sé concettualizzato. Si tratta di una definizione di sé basata sull’identificazione con delle caratteristiche che si considerano proprie. Vediamo un paio di esempi di sé come contenuto:

  • “Sono una persona sportiva” è un’identificazione con un proprio comportamento.
  • “Sono introversa” è invece un’identificazione con una caratteristica di personalità. 

Questa versione di noi è quella che tendenzialmente utilizziamo quando dobbiamo presentarci alle altre persone. Se ad un colloquio o ad un primo appuntamento ci viene chiesto di parlare di noi abbiamo subito pronta una lista di caratteristiche da elencare: il nostro lavoro, i nostri hobby, alcuni tratti di personalità ecc. Il problema è che tutte queste caratteristiche sono mutevoli: il lavoro, gli hobby, i comportamenti possono mutare, e a quel punto noi chi siamo? 

Anche Alice si rende anche conto che qualcosa non le torna, non per niente la sua riflessione si origina proprio dal fatto di non riconoscersi più:

Pensare che ieri tutto era come al solito. Fossi cambiata io durante la notte? Fammi pensare: ero la stessa stamattina quando mi sono alzata?

Quindi cos’è cambiato? Chi è cambiato?

Il punto è che le etichette che ci appiccichiamo addosso si rifanno ad aspetti di noi che sono in eterno mutamento. Il sé concettualizzato tenta di identificarsi in caratteristiche e tratti che non sono fissi nel corso della vita. 

Alla fine quello che si sta domandando Alice e che capita anche a noi di chiederci è: ma se io cambio sarò sempre io? 

Il sé come processo

A questo punto ci può venire in soccorso una seconda dimensione del sé: il sé come processo o sé conoscente. Si tratta del sé capace di notare e descrivere ciò che si manifesta dentro di noi momento per momento. È il sé che osserva il panorama che si dispiega nella nostra psiche in ogni istante. Mentre la formula del sé concettualizzato è “io sono” seguito da una valutazione riguardo a sé stessi/e (gentile, intelligente, attraente ecc.), la formula del sé come processo è “adesso sto provando questa emozione”, “adesso sto pensando a questa cosa”. 

Nel momento in cui rivolgiamo lo sguardo a ciò che avviene dentro di noi ci accorgiamo di come i pensieri, le sensazioni, le emozioni che proviamo siano passeggeri. Perciò le cose che ci passano per la testa sono manifestazioni transitorie del nostro sfaccettato modo di essere. E talvolta possono anche contraddire la visione cristallizzata del sé come contenuto. Infatti, nell’osservazione attenta di noi stessi/e scopriamo che i nostri confini sono molto più sfumati e cangianti di come ce li eravamo figurati. Anche se la mappa che abbiamo del nostro mondo interiore è lenta ad aggiornarsi, il territorio che abbiamo dentro di noi è in costante mutamento.

Ma cosa non muta? Cosa fa sì che Alice rimanga Alice nonostante il mutamento?

Il sé come contesto o sé che osserva

Noi non siamo semplicemente il contenuto dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, siamo il luogo nel quale l’esperienza si svolge e dal quale può essere osservata. Mentre il sé come processo corrisponde alla consapevolezza di star vedendo, il sé come contesto è la consapevolezza che questo star vedendo avviene da un punto di osservazione costante nel tempo. Proprio il fatto che questo osservatore onnipresente non corrisponda a nessun contenuto rende così difficile provare a spiegarlo a parole. Infatti, il sé come contesto non è una cosa o un’entità, esso trascende ogni nostro contenuto.

Qui, a mio avviso sta il paradosso che vive Alice nella parte finale del suo monologo:

E poi, lei è lei, e io sono io, e… povera me, che rompicapo! 

Ciò che di noi non muta non è un concetto verbalizzabile come possono essere le nostre caratteristiche o i nostri pensieri. Il sé come contesto non è descrivibile perché è una non-cosa, se ne può solo fare esperienza diretta.

A non mutare è proprio ciò che resta nel momento in cui tutti i contenuti vengono sottratti.

Conclusioni

In conclusione, il sé concettualizzato ha il vantaggio di restituirci un’immagine definita di noi stessi, facile da verbalizzare e quindi anche da comunicare agli altri. Di contro il rischio è quello di diventare così fusi/e con la propria narrazione che diventa impossibile trovare dei nuovi sviluppi di trama. Invece, sintonizzarsi su altri livelli del sé, fare esperienza del fatto che a non mutare è il luogo in cui essi si svolgono e non ciò che vi si svolge, riapre alla possibilità di esplorare il Paese delle Meraviglie e accettare le trasformazioni che si faranno durante il viaggio.

Se ti interessa la psicologia ma non sai da dove iniziare a studiarla ho scritto un articolo in cui ti consiglio 7 saggi introduttivi alla psicologia, lo trovi qui. Buona lettura!

Bibliografia per approfondire

Lewis, C. Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. (1865).

Un libro per approfondire i principi della ACT da cui ho tratto le diverse concettualizzazioni del sé: Luoma, J. B., Hayes, S. C., & Walser, R. D. (2007). Learning ACT: An Acceptance & Commitment Therapy Skills-Training Manual for Therapists (2 ed.). New Harbinger. 

Il sito ufficiale della ACT: https://www.act-italia.org/acceptance-commitment-therapy/

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