La mia prima volta (con l’ansia da prestazione)
Voce che trema, gambe molli, mani sudate, stomaco in subbuglio, bocca secca, improvviso vuoto mentale e il terrore di star per fare una figura terribile davanti a tutti/e. Si chiama ansia da prestazione e prima o poi capita di incontrarla nel corso della propria vita.
La prima volta che ho conosciuto l’ansia da prestazione è stato al mio esame di quinta elementare (noi classe ’93 siamo l’ultima coraggiosa annata che ha dovuto sostenerlo). Nonostante i tentativi della maestra di farmi sentire a mio agio, alla domanda “ti ricordi qualcosa della Seconda Guerra Mondiale?” Mi sono trovata a fissarla con lo sguardo di un cerbiatto che sta per essere investito da un auto. In quel momento tutti i ripassi prima dell’esame, le ore passate con i miei genitori a ripetere il programma di storia, i miei schemini ordinati fatti con le penne colorate sono semplicemente evaporati. Nella mia memoria non c’era più alcun cassetto con l’etichetta “Seconda Guerra Mondiale”. La mia ansia da prestazione è riuscita a cancellare in un istante l’esistenza di Hitler e del genocidio del popolo ebraico.

Sono passati esattamente vent’anni da allora, vent’anni in cui mi sono esibita su palchi di fronte a centinaia di sconosciuti, ho partecipato a gare e concorsi, dato esami, fatto presentazioni in università, tenuto lezioni e laboratori, fatto colloqui di lavoro e – mi sento di dire – sconfitto per sempre il demone dell’ansia da prestazione. Significa che non ho più ansia? No, l’ansia ce l’ho ancora ma è diventata una mia alleata.
Trasformare l’ansia da prestazione in un’alleata
L’ansia da prestazione è un meccanismo di sopravvivenza antichissimo
La prima cosa da capire è che i sintomi che si accompagnano all’ansia da prestazione, per quanto scomodi e fastidiosi, in realtà non hanno lo scopo di danneggiarci. Anzi, sono il risultato di un antichissimo meccanismo di sopravvivenza chiamato “risposta di attacco/fuga”.
Quando ci troviamo di fronte ad una sfida il nostro sistema nervoso ci prepara ad affrontarla rilasciando grandi quantità di adrenalina. L’adrenalina serve a rendere immediatamente disponibile l’energia metabolica. Tutti i sintomi che ho elencato all’inizio e che sono normalmente associati all’ansia da prestazione sono in realtà effetti della risposta di attacco/fuga. Quindi, la prima cosa che possiamo fare quando si presenta l’ansia da prestazione è ricordarci che non è lì per danneggiarci ma per fornirci l’energia necessaria a superare la prova che stiamo per affrontare.
Strategie pratiche
1. Cambiare l’interpretazione
Il fatto che i sintomi di ansia siano l’effetto di una risposta evolutiva antichissima (ce l’hanno pure i rettili che sono sulla terra da milioni di anni prima di noi) ci suggerisce che cercare di calmarci a forza è una battaglia persa in partenza.
Secondo uno studio di Brooks, A. W. (2014) la strategia più efficace per avere a che fare con l’ansia da prestazione non è modificare ciò che proviamo ma il modo in cui interpretiamo ciò che proviamo. Invece di continuare a ripeterci che “non dovremmo sentirci così” possiamo dire a noi stessi/e che ciò che stiamo provando è eccitazione. Di fatto l’eccitazione e l’ansia da un punto di vista somatico sono molto simili. La differenza sta sopratutto in come ci raccontiamo ciò che stiamo provando. Inoltre, pensare che le manifestazioni fisiche dell’ansia sono proprio finalizzate a “caricarci” prima di una prova, aiuta ad accettarle.
2. La compassione come antidoto all’autocritica
Sono convinta che una buona quota di ansia da prestazione derivi dai messaggi che ci arrivano dalla società in cui viviamo. Non mi stuferò mai di dire che la nostra è ancora una società che non lascia spazio alle emozioni scomode (quelle che erroneamente definiamo emozioni “negative”). Ansia, tristezza, vergogna ecc. vengono ancora considerate ostacoli al successo e non normali manifestazioni della propria umanità.
Uno dei migliori strumenti che abbiamo a disposizione per accettare le nostre emozioni e viverle come alleate e non come nemiche è la compassione. Infatti uno degli aspetti che rendono così faticosa l’esperienza dell’ansia da prestazione è il nostro critico interiore, quella vocina che ci ripete che niente di quello che facciamo va bene, che non siamo abbastanza, che potevamo fare di più e meglio.
Essere compassionevoli verso noi stessi/e significa saper dire “ho fatto quello che potevo con gli strumenti che avevo a disposizione”. Non è continuando a puntare il dito su tutte le nostre mancanze e i nostri errori che riusciremo a fare di meglio, anzi questo atteggiamento può solo aumentare i nostri livelli di ansia.
3. Darsi il tempo di imparare
Se ti risulta difficile riuscire a portare un po’ di gentilezza nel tuo monologo interiore prova a pensare a cosa diresti ad una persona cara che si trova nella tua stessa situazione. Le faresti notare ogni minimo errore o la sosterresti positivamente? Le ricorderesti che non ha ancora raggiunto la perfezione o metteresti l’accento sui suoi miglioramenti? Le diresti che è troppo ansiosa o che è stata coraggiosa a mettersi in gioco nonostante l’ansia?
Essere compassionevoli verso sé stessi/e non significa accontentarsi di una performance mediocre, significa semmai darsi il tempo fisiologico di imparare e migliorare.
L’ansia da prestazione è la sorella maggiore della sindrome dell’impostore, se vuoi approfondire anche questo argomento ho scritto un articolo su come superarla, lo trovi qui. Se invece vuoi altre risorse specifiche per l’ansia, ti consiglio di leggere questo articolo.
E a te capita di sperimentare l’ansia da prestazione? Raccontami la tua esperienza nei commenti, ti leggo. A presto.
BIBLIOGRAFIA
Studio sulla re-interpretazione dell’ansia: Brooks, A. W. (2014). Get excited: Reappraising pre-performance anxiety as excitement. Journal of Experimental Psychology: General, 143(3), 1144–1158. https://doi.org/10.1037/a0035325